Il presidente della Camera penale: «Manette facili e 1.800 in cella senza giudizio» » Penna Bianca

Il presidente della Camera penale: «Manette facili e 1.800 in cella senza giudizio»

 In Rassegna stampa

Presidente Attilio Belloni, cosa ne pensa del dibattito cittadino sulle manette dell’inchiesta appaltopoli? Qual è il suo giudizio, da presidente dei penalisti napoletani, sugli arresti in parte annullati dal Riesame?

«Premetto che non entro nel merito delle indagini in corso, specie ora che ci sono le valutazioni dei giudici del Tribunale del Riesame. Preferisco ragionare sull’uso eccessivo e distorto delle misure cautelari personali e reali, argomento che la camera penale ha denunciato da tempo. Prima ancora che persone note e conosciute per il loro spessore professionale finissero coinvolte nell’inchiesta che ha citato».
Entra nel dibattito sulle manette dei prof e dei professionisti, il presidente della camera penale di Napoli Attilio Belloni. E lo fa ricordando i numeri, le statistiche frutto dell’osservatorio permanente dell’organo di piazza Cenni a proposito di arresti, scarcerazioni, indennizzi e – fatto inevitabile – strascichi polemici.

Presidente Belloni, qual è il suo osservatorio?
«Le nostre denunce sull’uso distorto della carcerazione preventiva trae origine dai dati statistici raccolti. Nel 2016 la Corte di Appello di Napoli ha liquidato 350 indennizzi per ingiusta detenzione ad altrettanti cittadini che erano stati evidentemente arrestati ingiustamente: per questi indennizzi, sono stati pagati 4 milioni e duecentomila euro per riparare ai torti subiti; dal 2011, quattro arresti su dieci sono stati riformati dal Tribunale del Riesame. E ce n’è anche per la popolazione carceraria, o meglio, per lo status in cui si trovano i detenuti della Campania».

 A cosa si riferisce?
«Nel 2017, su 6800 detenuti in carcere (mi riferisco agli istituti di pena campani), ben 1800 sono ancora in attesa di giudizio (quindi presunti innocenti); mentre 1400 sono in attesa della sentenza di primo grado di condanna».

Potremmo dire che oggi la camera penale di Napoli sottolinea questi dati, perché è la classe dirigente napoletana ad essere posta sotto accusa?
«La camera penale urla questi dati oggi e interviene su questo dibattito aperto dagli arresti dell’inchiesta the queen dopo anni di denunce».

Qual è il punto critico? Numeri e statistiche che lei ha citato da cosa sono provocati?
«Le misure cautelari vengono emesse sulla base di un insufficiente approfondimento del quadro indiziario e sulla base di una carente valutazione delle esigenze preventive previste dal codice (pericolo di reiterazione del reato, pericolo di fuga e di inquinamento delle prove)».

Qual è la ricetta, dal suo punto di vista? Come se ne esce?
«Bisogna recuperare la centralità del dibattimento, bisogna ribaltare l’attuale situazione che produce una palese compressione delle garanzie individuali dei cittadini, passare dalla attuale centralità della fase non garantita delle indagini preliminari alla centralità del dibattimento, come previsto dal Legislatore: il cuore, il centro di tutto, deve essere il processo».

Se ne parla da anni…
«Le riforme non hanno limitato l’uso distorto ed eccessivo delle misure cautelari, perché fondate su mere aggettivazioni che hanno lasciato inalterata la discrezionalità del giudice e non hanno evitato che la custodia cautelare sia una forma anticipata di pena e non una estrema ratio. Secondo il nostro giudizio, la custodia cautelare deve essere limitata ai reati più gravi e a situazioni eccezionali».

Torniamo all’inchiesta di appaltopoli: la corruzione è diventata una emergenza locale e nazionale, non crede che sia un dovere per la magistratura scavare nei santuari della società partenopea? Che i pm abbiano il dovere di aprire lame di luce nel dietro le quinte di progetti milionari e appalti pagati a caro prezzo da tutti noi?
«Ben vengano tutte le indagini e tutte le verifiche del caso, ma resto convinto che gli arresti siano uno strumento da utilizzare solo nei casi estremi, come per altro previsto dal codice».

Cosa pensa del dibattito interno alla nostra borghesia dopo l’arresto di docenti e notabili della vita pubblica cittadina? Non crede che il nostro ceto culturalmente più attrezzato abbia la tendenza a chiudersi a riccio, quando viene toccato direttamente da accuse così gravi?
«Credo che ci sia questa tendenza. E lo dico a malincuore, pensando alle nostre denunce cadute spesso nel silenzio. E mi basta citare quanto avvenuto di recente nell’indifferenza generale al Pallonetto di Santa Lucia».

A cosa si riferisce?
«Alla decisione del Tribunale dei minori, su richiesta della Procura minorile di andarsi a prendere i bambini nei letti, per allontanarli dai contesti familiari e tradurli in comunità di recupero del Nord. Provvedimenti che reputo aberranti, che mi fanno paura. Ma cosa credono di ottenere?».

Le sembra giusto che bambini di 12 anni siano usati per confezionare droga e scambino lo spaccio per lavoro?
«Le faccio notare che lo Stato è chiamato a intervenire in altro modo in certi contesti. Non esiste solo la repressione penale, ci sono altri strumenti per favorire l’integrazione nella nostra società, oltre agli arresti o alla rimozione dei più piccoli dai loro letti, dalle loro case».

Leandro Del Gaudio

Fonte: Il Mattino

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