Intervista a Rita Bernardini: “Poggioreale e Secondigliano? Un disastro, come la giustizia italiana” » Penna Bianca

Intervista a Rita Bernardini: “Poggioreale e Secondigliano? Un disastro, come la giustizia italiana”

 In Rassegna stampa
La riforma per una giustizia giusta, i numeri che dimostrano come sia al collasso il nostro stato di diritto, la necessità di un provvedimento di amnistia per “far uscire dallo stato d’illegalità” la Repubblica Italiana, la prossima marcia di Pasqua, il salvataggio del Partito Radicale e il ricordo di Marco Pannella. Rita Bernadini, in questa intervista esclusiva a Vocedinapoli.it, ha raccontato tutto questo, come sempre, senza peli sulla lingua e senza risparmiare aspre critiche all’attuale sistema partitocratico

 

La tipica radicale, quella che non molla mai. Il volto e il corpo costantemente messi alla prova da quelle lotte non violente proprie del metodo radicale. Lo sciopero della fame, tecnica di protesta da sempre incarnata dal leader Marco Pannella, non ha però impedito a Rita Bernardini di proseguire la sua battaglia, nell’ultimo anno più dura ed estenuante del solito. Infatti la coordinatrice della Presidenza del Partito Radicale, da una parte continua a sostenere insieme ai suoi compagni le proposte politiche volte a dare una svolta al sistema giuridico e penitenziario italiano. Dall’altra la Bernardini conduce, insieme agli altri iscritti della famiglia “Pannelliana“, una corsa contro il tempo che ha l’obiettivo più grande: la salvezza del partito.

Infatti per i radicali, da un lato ci sono la difesa e l’affermazione dello stato di diritto (attraverso il conseguimento di una riforma strutturale della giustizia che sia preceduta da un provvedimento di amnistia), dall’altro incombe su di loro l’”incubo” dei 3.000 iscritti da raggiungere entro il 31 dicembre 2017, altrimenti (così come stabilito dalla mozione del 40° Congresso Straordinario del Partito che si è svolto a settembre scorso presso il carcere di Rebibbia) il Partito Radicale chiuderà, lasciando incompiuti i sogni libertari tanto voluti da Pannella.

Intervista a Rita Bernardini

Il governo afferma di aver fatto grandi passi avanti sul sovraffollamento delle carceri, tuttavia hai fatto un mese di sciopero della fame. Perché?

Lo sciopero della fame l’ho fatto per chiedere al Governo di stralciare la delega sull’Ordinamento penitenziario dal resto del disegno di legge sul penale. Non sono stata ascoltata, il Ministro Andrea Orlando non ha accettato – e mi dispiace – il mio agire con la nonviolenza per tentare un dialogo nel momento in cui si mettono in gioco diritti umani inviolabili. Ha voluto, invece, portare a casa l’intero disegno di legge per di più utilizzando l’abusatissimo “voto di fiducia” su un  maxi-emendamento da lui presentato stroncando così ogni forma di dibattito parlamentare. Ora si ritrova con l’Unione delle Camere Penali che giustamente sciopera ad oltranza considerato che il ddl compromette irrimediabilmente il diritto di difesa e che, anziché porre rimedio all’irragionevole durata dei processi, legalizza la scostumata lentezza delle cause penali aumentando i termini di prescrizione dei reati. Siamo alla follia.

Hai incontrato il ministro Andrea Orlando sulla questione dei suicidi in carcere e in generale sullo stato di salute del sistema penitenziario. Ci sono segnali incoraggianti per una possibile riforma o per lo stralcio di quella che sarà presentata in Parlamento?

Come dicevo, lo “stralcio”, che come Partito Radicale abbiamo proposto fin dalla conclusione del Giubileo dei carcerati, non è stato accettato. Quanto alla riforma dell’ordinamento penitenziario contenuta nel ddl, lotteremo perché nell’esercizio della delega il Governo non vanifichi il buon lavoro prodotto dai 18 tavoli degli Stati generali dell’esecuzione penale, voluti proprio dal Ministro della Giustizia.

Credi che i tempi per una riforma strutturale della giustizia siano maturi? Quanto dovremmo ancora aspettare?

Io credo che siano maturi fin dalla metà degli anni ottanta (Referendum Tortora). Quel che il sistema politico italiano non ha visto nei decenni passati e ancora non vede è che rinunciando ai principi cardine dello Stato di diritto e quindi della democrazia sta portando il Paese alle soglie del baratro. Persino la separazione dei poteri è sempre più compromessa.

Che notizie hai sulle condizioni in cui versano il carcere di Poggioreale e di Secondigliano?

Per quanto i direttori e gli altri operatori penitenziari spesso tentino di fare del loro meglio, in generale, gli istituti penitenziari non svolgono minimamente la funzione che giustifica la loro esistenza: rieducare e risocializzare i detenuti. A Poggioreale, abbiamo di nuovo superato abbondantemente i duemila reclusi (2.026 per l’esattezza, ndr,dai dati del Ministero di Grazia e Giustizia) rispetto ai 1.644 regolamentari (ndr, fonte: Ministero di Grazia e Giustizia) mentre a Secondigliano viaggiamo su gli oltre 1.300 (nello specifico sono 1.331, ndr, dai dati del Ministero di Grazia e Giustizia) su una capienza prevista di 898 posti (ndr, fonte: Ministero di Grazia e Giustizia). Pene alternative? Se ne parla molto, ma se ne danno molto poche. Così come le percentuali dei detenuti in attesa di giudizio sono da capogiro: a Secondigliano, siamo oltre il 60% quando la media nazionale – già altissima – è al 35% (considerando che circa il 40% di essi sarà poi dichiarato innocente)!

Come è andata a finire la storia in merito alla tua candidatura a Garante dei Detenuti dell’Abruzzo?

È una storia talmente misera dal punto di vista istituzionale, che provo vergogna per l’insipienza della classe politica regionale abruzzese. Se non vi fidate del mio giudizio guardate i filmati delle sedute del Consiglio regionale abruzzese che da oltre due anni ha all’ordine del giorno l’elezione della figura di garanzia per le persone private della libertà. Da tempo immemorabile dico loro di scartare il mio nome e di dare un garante dei detenuti all’Abruzzo, ma loro niente, se ne fottono semplicemente perché non hanno il senso delle istituzioni.

Spiegheresti ai nostri lettori cosa vorrebbe dire un provvedimento di amnistia per il nostro paese?

Serve per far ripartire la giustizia e, abbinata all’indulto, per rendere le carceri italiane conformi al dettato costituzionale. La nostra giustizia penale è letteralmente sommersa dai procedimenti penali pendenti tanto che i tribunali non riescono a farvi fronte. L’immagine realista è quella del magistrato sopraffatto dai fascicoli molti dei quali vecchissimi. La legge gli impone di celebrarli tutti (obbligatorietà dell’azione penale), ma lui sa benissimo che non può farcela e così decide lui quali e quanti di quei procedimenti far cadere in prescrizione. Ricordate quando Pannella diceva “l’amnistia strisciante delle prescrizioni”? Ecco quella scelta – tutta politica e da uniformare sul territorio nazionale  – competerebbe al Parlamento secondo l’art. 79 della Costituzione. Lo stesso vale per l’indulto che, a differenza dell’amnistia che cancella il reato e che ha sempre riguardato reati non gravi, cancella l’ultimo periodo di detenzione. Ricordo, per fare un esempio che riguarda l’indulto, che quasi 8.000 detenuti sono in carcere per scontare una pena residua interiore all’anno e altri 7.500 hanno una pena residua da 1 a due anni. Che senso ha tenerli nelle “criminogene” (definizione del ministro Orlando) e sovraffollate prigioni italiane? Voglio dire che i nostri padri costituenti hanno previsto l’amnistia e l’indulto per consentire alla politica attraverso il Parlamento di “governare” i momenti in cui la giustizia penale e le carceri sono sopraffatte da numeri esorbitanti e ingestibili. La “politica” si è “quasi” privata di quei due strumenti costituzionali prevedendo, per concederli, una maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, in ogni suo articolo e nella votazione finale. Accadde dopo “mani pulite”: autocastrazione per senso di colpa, la definirei. Noi puntiamo su quel “quasi”, perché vogliamo una Repubblica capace di uscire dalla sua perenne illegalità che comporta la violazione di diritti umani fondamentali anche e soprattutto delle vittime dei reati che non riescono ad ottenere giustizia e risarcimenti in un tempo ragionevole. Insomma, quando un’arteria umana è intasata dal grasso, occorre intervenire per rimuoverlo, altrimenti il sangue non scorre e si muore. Ecco, alla nostra giustizia moribonda occorre un’angioplastica.

A Pasqua è prevista un’altra marcia a Roma con destinazione Piazza San Pietro. Quali sono gli obiettivi di questa nuova iniziativa visto il successo di quella di novembre scorso?

Amnistia, indulto, riforma organica della giustizia… Anche stavolta andiamo da Papa Francesco perché insieme a Marco Pannella ha avuto il coraggio di esortare la politica ad assumersi le sue responsabilità sdoganando parole e proposizioni in Italia impronunciabili come amnistia, clemenza e abolizione dell’ergastolo e del carcere duro. Andiamo in Piazza San Pietro perché il Papa, il 1° gennaio di quest’anno, ha parlato della nonviolenza (senza trattino!) come “stile di una politica per la pace”. Lo hanno ascoltato i detenuti che con noi hanno digiunato in oltre 20.000.

Rispetto alla mozione approvata a Rebibbia durante il 40esimo Congresso Straordinario, a che punto è l’”operazione salvezza” del Partito Radicale?

Tutta in salita. E’ vero che abbiamo più iscritti se confrontati con il numero registrato nello stesso periodo degli anni scorsi, ma siamo ben lontani dai 3.000 che – pena la chiusura – dobbiamo raggiungere entro il 31 dicembre prossimo. Finora abbiamo avuto quasi mille versamenti che comprendono 740 iscrizioni complete. Segnali incoraggianti ci stanno arrivando dalle carceri: per la prima volta il 10% dei versamenti provengono da detenuti; altro segnale che mi rincuora sono le iscrizioni degli avvocati che sono decine e possono divenire centinaia. L’iscrizione del Presidente dell’UCPI, Beniamino Migliucci, con le motivazioni che ha voluto dare, costituiscono un gesto di grande significato. Sono contenta che con le Camere Penali presto raccoglieremo insieme le firme per una proposta di legge di iniziativa popolare sulla separazione delle carriere dei magistrati, affinché il giudice sia effettivamente “terzo” e imparziale fra accusa e difesa. Di errori giudiziari ne abbiamo fin troppi… oltre mille all’anno: sono un’enormità!

Un pensiero a Marco Pannella e tutto quello che rappresenta per il nostro paese.

Marco, con la testimonianza della sua vita, credo che ci abbia chiesto una cosa fondamentale: far vivere nella quotidianità del nostro essere le idee e le speranze “radicali”: un patrimonio inestimabile che sarebbe un crimine disperdere e sciupare senza rinvigorirlo nel dibattito e nell’azione politica quotidiana.

Andrea Aversa

Fonte: Voce di Napoli

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