Isola di Santo Stefano: visione di un’Europa unita e il recupero dei detenuti » Penna Bianca

Isola di Santo Stefano: visione di un’Europa unita e il recupero dei detenuti

 In Rassegna stampa
Ci sono passati i greci, poi i romani durante il periodo imperiale, passando per i Borbone, il fascismo e l’inizio dell’era repubblicana. Questa piccola isola di fronte Ventotene è stata protagonista di eventi importanti ed ha accolto personalità di spicco della politica italiana

Da Ventotene Santo Stefanoè spesso visibile. Si trova sul lato Est dell’isola pontina, quello da cui si scorge l’imperiosa sagoma di Ischia. L’isolotto ha una forma circolare di quasi 500 metri di diametro e un’estensione terrena di circa 27 ettari. L’origine geologica di Santo Stefano è vulcanica e trovandosi nel cuore del Mar Tirreno è di solito in balia dei venti che sferzano i quattro lati della sua costa. Per questo l’approdo è molto difficile e reso possibile solo in due punti. Nonostante tutto questa piccola isola, che appare come uno scoglio gigante in mezzo al mare, ha un’enorme ricchezza: una storia unica che ha determinato fenomeni importanti per il patrimonio culturale del nostro paese.

Il carcere borbonico

Sulla cima di Santo Stefano vi è una struttura circolare che a guardarla da lontano incute diverse sensazioni. Se si consce la storia dell’isolotto, le emozioni sono contrastanti: timore, stupore, tristezza, riscatto. Si tratta di un edificio di origine borbonica costruito alla fine del ‘700. La struttura è un carcere che è stato in funzione fino al 1965. All’interno di queste mura sono vissute personalità politiche di un certo prestigio. La prigione, sorta per accogliere gli ergastolani, è stata nel periodo monarchico e fascista esempio di reclusione per i dissidenti politici. Durante l’inizio dell’era repubblicana è divenuto invece scenario di un esperimento sociale di grande rilievo. Tre epoche diverse che hanno generato un racconto più che affascinante.

L’architetto Francesco Carpi è stato incaricato nel 1795 dal re Ferdinando I di Borbone, di realizzare il carcere. La struttura ha accolto camorristi, uomini colpevoli di omicidio e nemici della corona. La prigione ha una forma circolare e panottica. Ispirato all’architettura del Teatro Regio San Carlo di Napoli, l’obiettivo del carcere era di rendere sorvegliabili i detenuti sempre e da un qualunque punto della struttura, senza che i prigionieri se ne rendessero conto. I piani della prigione sono due: quello a terra non prevede finestre o prese d’aria verso l’esterno, quelle al piano superiore sì ma a bocca di lupo, in modo tale da impedire ai prigionieri la vista del mare. In ogni cella hanno vissuto anche quattro, cinque detenuti in condizioni igieniche – sanitarie precarie.

Il periodo fascista

Durante il ventennio del regime fascista, a Santo Stefano, sono stati inviati oltre che assassini ed ergastolani alcuni personaggi che hanno predicato contro la dittatura e il governo di Benito Mussolini. L’assetto del carcere è stato modificato: è stato eretto un piano in più, aumentato il numero delle celle, e costruito un muro circolare al centro del cortile che circonda la cappella. I detenuti rispetto al periodo borbonico vivevano singolarmente nelle celle ma in totale isolamento, continuo e costante. I prigionieri potevano lasciare la loro cella una volta al giorno ed era loro impedito di incontrare gli altri carcerati. Ma le sbarre e la privazione di libertà non hanno impedito al pensiero di alcuni uomini di svilupparsi e di superare quei confini che spesso hanno calpestato anche la dignità umana di quelle persone.

Nel carcere di Santo Stefano, hanno vissuto da detenuti politici personaggi come Sandro Pertini, Eugenio ColorniAltiero Spinelli ed Ernesto Rossi. Il primo diventerà Presidente della Repubblica, gli altri tre hanno fatto nascere un ideale politico più attuale che mai. Se questa idea, o meglio visione, fosse stata realizzata, non assisteremmo alle tragedie che siamo costretti a guardare ogni giorno. Si tratta del Manifesto di Ventotene per un’Europa unita e federale: gli Stati Uniti d’Europa.

Immaginare che degli uomini rinchiusi tra quattro mura e in isolamento, abbiano avuto la forza e la speranza di pensare cose del genere, mette i brividi. Superare i nazionalismi che hanno provocato le due guerre più sanguinose della storia. Promuovere l’unione di ogni singolo stato e far nascere una nuova entità, garante di pace e ricchezza, in favore dei suoi popoli.

Ha affermato Spinelli nel 1943, libero dopo 16 anni di prigionia fascista:

…avevo scoperto l’abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l’ebbrezza della creazione politica, il fremito dell’apparire delle cose impossibili…”.

La crisi dell’Ucraina che ha portato un nuovo conflitto nel continente; i poco chiari rapporti diplomatici con la Russia di Vladimir Putin; il fenomeno drammatico dei migranti; l’emergere di nuovi nazionalismiradicati su basi razziste e xenofobe; la nascita di forti venti secessionistiche ricordano quelli della tragedia avvenuta nei Balcani; un Nord Africa e un Medio Oriente in fiamme; la deriva dittatoriale della Turchia; la crisi economica di alcuni paesi come la Grecia; l’uscita della Gran Bretagnadall’UE; gli attacchi terroristici nel cuore dell’Europa; lo scoppio delle emergenze sociali dovuta ad una cattiva integrazione dei musulmani nei nostri paesi; la Spagna che fatica a formare un governo. È questo lo scenario attuale dell’Europa. Un contesto che tradisce la speranza e la visione di Spinelli e Rossi. Una situazione causata dal malgoverno e dalla cecità politica dei vari amministratori che si sono succeduti all’interno dei principali parlamenti europei fino ad oggi. Una cecità che contrasta con la lungimiranza e gli ideali di queste persone, detenute e prigioniere in carcere, solo perché la pensavano diversamente rispetto ai regimi che hanno denunciato. Oggi l’Europa è solo un organo burocratico che si regge su un mercato ed una moneta unica, l’euro. È anche vero che i trattati che hanno realizzato tale unione sono stati regolarmente firmati dai paesi appartenenti all’UE. Sono necessari un atto di coraggio e un forte scatto in avanti che porti l’Europa ad una vera e propria unità politica.

L’epoca repubblicana

Dopo il regime fascista, il carcere di Santo Stefano è rimasto luogo di detenzione per ergastolani e quindi per coloro ritenuti colpevoli dei crimini più efferati. Le condizioni umane dei prigionieri erano tragiche, considerando anche che sull’isola ancora non c’erano l’acqua e la luce elettrica. Tuttavia la situazione cambia nel 1952, quando arriva come Direttore della casa circondariale il Dottor Eugenio Perucatti. Quest’ultimo è stato un grande esperto di diritto che prima di essere destinato a Santo Stefano ha diretto diversi istituti minorili. Perucatti rivoluziona il carcere. Dall’assunto che l’ergastolo è una pena ingiusta, che rappresenta una pena di morte mascherata, poiché toglie al prigioniero qualsiasi speranza di poter “tornare a vivere”, il nuovo direttore trasforma Santo Stefano in una vera e propria comunità di lavoro. Lo scopo di Perucatti è di rispettare il comandamento previsto dall’articolo 27 della nostra
Costituzione:

La responsabilità penale è personale.

L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.

Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato [cfr. art. 13 c. 4].

Non è ammessa la pena di morte”.

Nel rispetto di questo articolo, scritto dai padri costituenti al termine del secondo conflitto mondiale, Perucatti avvia il suo esperimento socialebasato su queste sue affermazioni:

Stare dalla parte dei detenuti non vuol dire difenderne la scelta criminale – personalmente l’ho sempre biasimata – bensì sostenere il diritto alle loro anime di purificarsi, con equa espiazione, riconciliandosi con la società. Per questo il carcere e i suoi bravi operatori non possono mai fare a meno del grande senso di umanità che deve permeare ogni loro azione”.

Ecco che a Santo Stefano è costruita una cisterna per l’acqua, sono installati dei generatori di corrente e costruito un sistema fognario. Ai lavori pensano i detenuti cui è cambiata la vita. È eliminato l’isolamentoe alle guardie è vietato di portare armi a vista. Detenuti e sorveglianti iniziano a “mescolarsi” senza che accadano imprevisti. Perucatti fa costruire delle botteghe cui iniziano a lavorare i prigionieri. In questo modo chi non aveva neanche la benché minima speranza di redenzione o di poter immaginare se stesso come un essere umano, inizia a risorgere attraverso il lavoro e la socialità. Ovviamente i rapporti istituzionali e gli equilibri tra i ruoli non sono confusi all’interno di questo regime carcerario più liberale. Il direttore aveva il massimo rispetto da parte sia delle guardie sia dai detenuti e la sua capacità di mantenere l’ordine era impeccabile. Il cambiamento avviene grazie al rispetto di un dettaglio fondamentale: la dignità umana. L’esperimento dura otto anni, fino al 1960, anno in cui, durante il governo democristiano (e repressivo) di Fernando Tambroni, Perucatti è stato trasferito in Puglia in un carcere minorile. Probabilmente i suoi metodi riformisti non andavano bene per un governo post fascista e affamato di consensi.

Il carcere oggi e l’eredità radicale

Oggi le cose non sono cambiate. Il sistema carcerario italiano versa in condizioni penose. L’umanità per i detenuti tende a scomparire e la loro dignità e’ calpestata. La stessa sorte tocca alle guardie penitenziarieche condividono, in altro ruolo, la stessa pena. Continuano innumerevoli i casi di omicidi sia tra i carcerati sia tra le guardie. Nel frattempo il paese continua a non avere il reato di tortura e non ha ancora abolito l’ergastolo. La cosa assurda è che il lavoro svolto da persone come Perucatti o dai vari operatori sociali che si attivano nell’ambiente carcerario, è percepito come straordinario. È difficile far comprendere, invece, come dovrebbe essere nell’ordine delle cose puntare al rispetto della dignità umana e al recupero dei cittadini detenuti. Del resto lo prevede la Costituzione. Siamo di fronte ad uno Stato che tradisce se stesso e infrange le proprie regole fondanti. Uno Stato che non riesce a badare a quegli esseri umani a lui affidati in custodia, perché hanno infranto la legge e che quindi hanno bisogno di riabilitarsi per potersi reinserire in società.

La politica è muta e sorda a tutto ciò. C’è però un’eccezione, una goccia di speranza in un mare d’indifferenza: il Partito Radicale. Marco Pannella da sempre lotta per i diritti dei detenuti e per l’amnistia che ha lo scopo di far rientrare la Repubblica Italiana in uno stato di legalità facendola uscire dal suo attuale status criminale (senza contare i benefici sociali ed economici portati da una seria riforma della giustizia). Non solo. La storia di Santo Stefano è il simbolo perfetto delle lotte radicali. Se la battaglia per una giustizia giusta e l’abolizione dell’ergastolo (semplicemente rispettando il dettato costituzionale) si riflettono nel lavoro svolto da Eugenio Perucatti, la dimensione politica transnazionale del partito è rappresentata dall’eredità lasciata ai radicali da Altiero Spinelli:

Le affermazioni di Spinelli durante il Congresso del Partito Radicale del 1985 (un anno prima della sua morte):
“…la campagna per la Federazione Europea è culturalmente radicata, e impiantata nel modo di pensare Radicale. E non è un caso che Ernesto Rossi, che è forse il più importante dei vostri insegnanti è stato anche tra i fondatori del Movimento Federalista Europeo. Prendete questa campagna, e diffondetela in tutta Europa! Portate in esso il vostro fervore e il vostro grano di follia”.

Il rapporto tra Spinelli e Pannella è sempre stato forte, umano oltre che politico. Entrambi hanno dimostrato che oggi più che mai c’è bisogno di azioni radicali, basate su visioni politiche, oltretutto realizzabili. Ecco una simpatica testimonianza che conferma la stima e il rispetto tra i due: Pannella ha ceduto il suo tempo, proprio a Spinelli, per consentirgli di intervenire durante una seduta del Parlamento Europeo agli inizi degli anni ‘80. A Spinelli sono dedicate un’ala dell’edificio che ospita il parlamento Europeo di Bruxelles e l’aula magna della facoltà di scienze politiche dell’Università Federico II di Napoli. Infine, sarà un caso o una coincidenza ma il prossimo congresso del Partito Radicale (il 40 straordinario e il primo senza Pannella) è basato sul tema: “Da Ventotene a Rebibbia” (la sede è proprio il carcere romano).

Conclusioni

Santo Stefano è un isolotto non molto grande, famoso per il suo carcere. La sua visita è stata un’esperienza preziosa. Scoprire che quattro mura progettate per far soffrire le persone rinchiuse al suo interno, sono state focolaio di tante illustri iniziative, conferisce speranzae fiducia. La storia di Santo Stefano va narrata nelle scuole come un orgoglio e un vanto per l’Italia. Il racconto di un luogo così piccolo quanto affascinante, consente ancora di credere nelle idee e nelle azioni dell’uomo. Il 22 agosto quando Matteo Renzi, Angela Merkel eFrançois Hollande arriveranno a Ventotene per un summit speciale per l’Europa, provino ad annusare l’aria di Santo Stefano. Provino ad ascoltare le voci dei dissidenti politici e dei detenuti rinchiusi per anni in quelle celle. Provino a osare e ad avere coraggio, così come l’hanno avuto Perucatti, Rossi, Spinelli e Pannella. Solo così, solo in questo modo, si può sperare in un’Europa forte, unita e giusta, capace di affrontare le sfide decisive che caratterizzano il nostro tempo.

Fonte: Andrea Aversa – Voce di Napoli

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