Il garantismo e la zona grigia
Il tribunale del Riesame ha annullato gli arresti domiciliari per il presidente della Fondazione Banco Napoli, Daniele Marrama, e per altri professionisti coinvolti nell’inchiesta della Procura sugli appalti. Questi annullamenti fanno seguito ad altri avvenuti nei giorni scorsi, accanto ad alcune importanti conferme dell’impianto dell’accusa e a misure cautelari attenuate per altri indagati.
È certamente un bene che, nella corretta dialettica processuale, vengano revocati gli arresti con la massima celerità, quando ritenuti non necessari dalla valutazione dei giudici del Riesame. È altrettanto vero che, per giudicare la tenuta di una indagine al secondo serio vaglio al quale viene sottoposta dopo quello del Gip, bisogna attendere le motivazioni del tribunale anche sulla gravità degli indizi raccolti dai magistrati.
I giudizi preventivi sono sempre sbagliati e suscettibili, essi stessi, di smentite ed errori. Ma ciò che risulta ancora più pericoloso, in una città come Napoli e in un Paese come l’Italia, è trarre conclusioni generali sull’operato della Procura, specie di fronte a una sequenza di inchieste, ancora tutte in piedi e fondate fino a prova contraria, che ci raccontano quella Napoli e quella borghesia che forse non vogliamo guardare negli occhi (il caso Romeo- Consip, per esempio, o le recenti indagini su Loreto Mare, Santobono, Pascale, che chiamano in causa l’intero sistema sanitario regionale).
A che vale, inoltre, mettere insieme una serie di processi di grande risonanza mediatica, che si sono poi conclusi con numerose assoluzioni? Se in astratto si accettasse questo metodo, si potrebbero con altrettanta facilità elencare una serie di processi di altrettanto forte impatto sull’opinione pubblica, che hanno visto confermato in pieno l’impianto della pubblica accusa.
Per esempio, per parlare dell’intreccio tra camorra e politica, quello che ha portato alla condanna dell’ex sottosegretario Nicola Cosentino. Oppure, per restare sul tema altrettanto delicato della corruzione nei gangli dello Stato, il processo che si è concluso con la condanna dell’ex pubblico ministero e parlamentare Alfonso Papa, esemplare per la capacità della magistratura di fare pulizia al proprio interno.
Insomma, per restare su un terreno condiviso, rispetto della legalità significa anche chiedere conto alla magistratura dei suoi errori, quando questi si manifestano. Ma scarcerazioni o rumorose assoluzioni non possono indurre di per sé a individuare una sorta di “rito” giudiziario napoletano, sia pure in una parte della magistratura e facendo salvo il corpo generale.
Questo perché i problemi che esplodono a Napoli non sono altro che la manifestazione in forma probabilmente più grave di una malattia che corrode dalle fondamenta il sistema giustizia nell’intero Paese. E dunque, circoscrivendo l’ottica su scala locale, si può correre il rischio, sia pure con le più oneste intenzioni, di indebolire l’indispensabile azione di contrasto della criminalità e della corruzione in una città profondamente segnata da questi fenomeni nel suo tessuto sociale.
La Procura certo non è intoccabile ed è giusto sollevare critiche, quando necessarie. È un bene che i magistrati riflettano con ogni scrupolo prima di ricorrere a una misura grave come la custodia cautelare, che incide più di ogni altra sull’equilibrio e sulla dignità di una persona. Ma il garantismo vale sempre per tutti allo stesso modo? Scatta sempre allo stesso orario? La scarcerazione di venti immigrati ingiustamente accusati di spaccio o di venti presunti rapinatori, per esempio, avrebbe provocato la stessa indignazione? O forse una indignazione di segno contrario, come capita quando tornano libere persone di sospetta pericolosità sociale?
Il problema allora è il comportamento di una parte sia pure minoritaria della magistratura napoletana, o quello di una giustizia penale che va profondamente riformata in tutto il Paese? Ovvero una riforma strutturale del processo penale, e non su aspetti particolari come è accaduto finora, perché questo ha ingarbugliato ancora di più i nodi del sistema, come ben sanno avvocati e magistrati. Il risultato di questo riformismo episodico e spesso strumentale sono processi
troppo lunghi ai quali non segue una pena certa, una custodia cautelare frequentemente applicata in eccesso, indagini preliminari interminabili e proprio per questo enfatizzate in attesa di una condanna spesso prescritta. Il garantismo dev’essere la partecipazione della difesa in ogni momento dell’inchiesta, accanto all’indagato, in un equilibrato contraddittorio con l’accusa. Ma non può esserci, tantomeno a Napoli, un garantismo a seconda dell’imputato.
Editoriale di Ottavio Ragone
Fonte: La Repubblica Napoli