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Il fantastico mondo di Marco Pannella

 In Rassegna stampa

Un anno fa, il 19 maggio 2016, moriva Marco Pannella. L’annuncio provocò una notevole sensazione nell’opinione pubblica, la stampa fu non avara di riconoscimenti per le storiche iniziative e battaglie del leader scomparso, le istituzioni aprirono le loro porte alla salma della personalità alla quale, vivente, erano rimaste chiuse, o precluse. Bruciando il tempo, non è mancata nemmeno qualche iniziativa editoriale, per ricavarne comodo frutto.

L’odierno anniversario sarà occasione di commemorazioni e celebrazioni, se ne aspettano: messe in scena da suoi veri o presunti eredi e forse da qualche Istituzione, pubblica o privata. Ne tireremo le somme, potremo misurare la temperatura della sua popolarità postuma. Mancherà probabilmente, ma gli anniversari non sono fatti per questo, una approfondita analisi sul significato complessivo della sua lunga militanza civile e politica. Credo che per averne una adeguata dovremo attendere molto. Non era difficile abbozzarla quando lui era vivo, non si è voluto farla solo perché avrebbe messo in crisi più di una autorevole opinione, più di un autorevole opinionista, ma soprattutto un intero sistema culturale e politico. E dunque: sì, bene il divorzio, l’obiezione di coscienza, pure; ma quell’attacco al Concordato, quell’antimilitarismo…; eppoi, quei troppi referendum, quella incomprensibilie e antiquata noviolenza gandhiana, quegli insopportabili digiuni, quei sit- in…; e, infine, quel gigionismo sarcastico, quell’ostentato e invadente egocentrismo e protagonismo… Come mettere assieme tante facce, farne un’unica, accettabile immagine, un credibile e ben cata- logabile individuo, un uomo un politico – del nostro tempo?

Marco non amava, per sé o per chicchessia, il termine “individuo”. Era troppo figlio di Benedetto Croce, quello del “non possiamo non dirci cristiani”, per accettare il termine, plasmato in un clima profondamente laicista. Laicista non lo era, Marco, anche se rispettava ( storicamente) il laicismo sette/ ottocentesco con i suoi incancellabili frutti, a partire dalla breccia di Porta Pia: ma sapeva anche che il Risorgimento, prima e forse più dei massoni anticlericali, lo avevano fatto i cattolici liberali, i Cavour e i Manzoni, capaci di elaborare positivamente, nel loro foro interiore, le drammatiche contraddizioni della doppia appartenenza, la religiosa e la civile. E portò sempre con sé, come libri di chevet, i romanzi di Bernanos ma soprattutto i fascicoli di Esprit – la rivista di Emmanuel Mounier – nei quali il termine “persona” sostituiva quello di “individuo”, non in forma conflittuale ma aperta e dialogante.

È attorno a questi termini e ai problemi che essi evocavano ( e dovrebbero ancora evocare…) che si intreccia – tutto intero l’operato di Marco Pannella. Il divorzio come l’obiezione di coscienza ( forse la sua conquista teoricamente più affascinante e complessa), i referendum come i sit – in o le iniziative nonviolente e le azioni dirette, sono state occasioni per proporre e avviare il grande problema storico – e modernissimo – del rapporto tra la “persona” e l’istituzione, lo Stato. Per l’” individuo”, lo Stato è l’avversario. Dietro a Bakunin o a Camus sentiamo il fiato incalzante e inesorabile di Nietzsche, di Stirner. Per la “persona” pannelliana non può esserci scontro con l’Istituzione, solo confronto, forte e irriducibile ma in una forma dialettica, per la quale la vittoria dell’un termine è anche, necessariamente, vittoria dell’altro. Vincere è sempre, ammoniva Marco, un “con- vincere”, un vincereinsieme che è anche un persuadere, se stessi prima ancora dell’ interlocutore. Pannella diventa, in questo suo rflettere, un grande teorico della politica, si presenta come il riformatore della cultura e della prassi storicamente liberale. Il liberalismo storico frapponeva, tra l’individuo e lo Stato ( l’Istituzione) la rappresentanza politico- partitica- parlamentare. Pannella mette da parte ( non la nega…) questa rappresentanza, ma per lui l’individuo deve entrare in scontroincontro diretto con l’Istituzione. Così facendo diviene “persona”, soggetto consapevole e responsabile: persona, nella sua integrità esistenziale di corpo, manifestazione e interprete dell’anima, se si vuole ( ma non è necessaria). Di qui le iniziative di lotta nonviolenta, il mettere in gioco il proprio corpo, in un “dialogo” – come Marco ricordava incessantemente – senza fine. Erede consapevole del liberalismo classico, appreso sulle pagine del Risorgimento Liberale diretto da Mario Pannunzio, Marco meticciò quella eredità con il portato di un libertarismo riaffiorato in lui innanzitutto, probabilmente, sul piano antropologico, del “vissuto”. Si rideva sarcasticamente, quando lui affermava che il suo radicalismo era “liberale e libertario”. A molti sembrava una sgrammati- catura, da segnare addirittura con matita blu quando lui aggiungeva “… e socialista”. Aveva ragione lui, il suo pensiero nasceva da una profonda meditazione della storia politica europea, quella che, sul declinare dell’ottocento, aveva visto il dialogo- tensione tra il classico liberalismo tocquevilliano o alla Benjamin Constant e il socialismo umanitario e umanistico di stampo specialmente inglese. Quel liberalismo e quel socialismo erano uniti dalla lotta per il deperimento del Potere. L’uno e l’altro vennero soffocati e spenti dal prepotente insorgere dei partiti di massa, che ponevano al centro del loro interesse il Potere, la conquista del potere.

Pannella mise in discussione questa opprimente eredità. Il liberalismo classico non gli bastò più: volle scavare nelle profondità estreme della società borghese, e vi scoprì i reietti e i dimenticati, gli umiliati e offesi di Dostojevskji, i dannati della terra di Frantz Fanon, le donne morte per gli aborti clandestini, i “fumati” di ogni genere di droga, specie quelle indotte dal sistema. Di queste masse anonime e marginali Marco intese risvegliare la dignità, l’essenza umana. Quando si parla di Pannella, spesso – proprio evocando questa sua attenzione – lo si definisce come il difensore delle minoranze. Non è proprio così. Lottando per le minoranze, in realtà lottava per salvare le “maggioranze”, quelle dei rappresentati, del potere, della legalità irrigidita e divenuta sorda e cieca: voleva salvarle da se stesse, dalla loro chiusa e ingenerosa autoreferenzialità; voleva ammonirle perché rispettassero innanzitutto le loro proprie leggi.

Marco inseguiva il diritto, la legge, prima ancora che la giustizia. Attraverso una elaborazione incessante e faticosa, Pannella venne così scoprendo che il suo secolo, la modernità, aveva bisogno di un diritto “universale”, capace di superare le barriere culturali e politiche per dare ordine e senso civile a una globalizzazione divenuta inevitabile, ma foriera di squilibri e crisi proprio per mancanza di un diritto alla sua misura. Così, nella caduta degli obsolescenti Stati-Nazione, si rendeva ( e ancora si rende) urgente la definizione di un Diritto “naturale” universale, e dunque di una democrazia nuova, dotata di Istituzioni nuove e adeguate. Lo Stato- Nazione aveva forgiato per secoli la storia lungo i binari tracciati da Machiavelli e da Hobbes. Quel che occorreva ( e occorre) all’uomo di oggi, e di domani, era ( è) una nuova formulazione della statualità. Pannella ne indicò le coordinate, non più “assolutiste” e monocentriche, ma “transnazionali”, federaliste, policentriche, flessibili ed elastiche.

Non ha potuto vedere realizzato il suo immane progetto – che era un progetto di alternativa, non solo di alternanza – ma ha indicato la strada da seguire. Straordinariamente, l’uomo che credeva nella politica come l’attività più alta e nobile dell’uomo; che non amava la “teoria”, il saggismo teorico, anteponendo ad essi la “narrazione“, il racconto di una sequenza ordinata di eventi; che affidava il meglio di sé non alla scrittura ma a quella parola che mette in comunicazione, direttamente e senza mediazioni, i soggetti, in una intimità profonda ma – almeno apparentemente – volatile, sia invece da ricordare in primo luogo come un grande teorico della politica. Ci lascia questa pesante eredità. Pesante, sopratutto perché non la si vuole ( ri) conoscere. Forse, purtroppo, non lo si può. Per poterne cogliere l’intensità si dovrebbe partire dall’immagine crociana della “religione della libertà”, il pungolo creativo che innalza l’individuo alla condizione di soggetto, di “persona”. Mi pare che tutto il dibattito pubblico si concentri invece sul concetto, sui problemi, dell’” individuo”.

IMMAGINAVA UN DIRITTO “UNIVERSALE”, CAPACE DI SUPERARE LE BARRIERE CULTURALI E POLITICHE PER DARE ORDINE E SENSO CIVILE A UNA GLOBALIZZAZIONE DIVENUTA INEVITABILE INDICÒ LE COORDINATE, NON PIÙ “ASSOLUTISTE” E MONOCENTRICHE, MA “TRANSNAZIONALI”, FEDERALISTE, POLICENTRICHE, FLESSIBILI ED ELASTICHE PER UNA NUOVA CONCEZIONE DELLO STATO

Angiolo Bandinelli

Fonte: Il Dubbio

                                                

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