Il congresso in carcere del Partito Radicale (con Dell’Utri e Sollecito)
Il primo a Rebibbia dalla morte del leader Pannella. In platea c’è Totò Cuffaro
ROMA – Ci sono anche Totò Cuffaro, Marcello Dell’Utri e Raffaele Sollecito al 40°congresso straordinario del Partito Radicale, il primo orfano di Marco Pannella, organizzato a Rebibbia.
Nel teatro del penitenziario, che trabocca di foto e slogan del leader morto tre mesi fa, interviene anche il ministro della Giustizia Andrea Orlando. I partecipanti «ufficiali» sono 320 tra iscritti vecchi (242), nuovi (19) e osservatori (59). «Siamo più dei 50 sfigati che avevi ipotizzato», tuona con orgoglio Maurizio Turco, tesoriere del partito e uomo molto vicino a Pannella, rivolgendosi all’ex parlamentare Roberto Cicciomessere. «Siamo a un bivio – replica Riccardo Magi, segretario dei Radicali italiani, uno dei contrari a questo congresso -. Il partito pensato da Pannella è congelato da cinque anni. Oggi, insieme, dobbiamo discutere se e come sia possibile fare un partito per promuovere i diritti umani». A sera, si delinea un primo risultato: il voto sul regolamento e sull’ordine dei lavori registra una schiacciante maggioranza a favore dei promotori del Congresso. Respinti gli emendamenti del gruppo di Magi.
In platea c’è Totò Cuffaro, che ha scontato una condanna a 7 anni (5 a Rebibbia): «Qui ho conosciuto Pannella. Condivido alcune battaglie dei radicali, in primis quelle sulla giustizia, e volevo ricambiare simbolicamente il saluto affettuoso che Marco mi era venuto a dare in cella un Capodanno di qualche anno fa». Marcello Dell’Utri, condannato a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa, chiacchiera con Cuffaro, ma non può parlare con i giornalisti. «È molto provato – racconta Cuffaro – e gli mancano gli affetti, la moglie, i figli». Raffaele Sollecito, accusato di aver ucciso Meredith Kercher insieme ad Amanda Knox, e poi assolto con formula piena, taglia corto: «Un detenuto è come un sacchetto dell’immondizia gettato in discarica: per questo voglio sostenere le battaglie per i diritti civili che spesso, come nel mio caso, sono calpestati».
Fonte: Francesco di Frischia – Il Corriere della Sera