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“Spes contra spem”, il docufilm contro l’ergastolo presentato al carcere di Secondigliano

 In Rassegna stampa
Il docufilm contro l’ergastolo ostativo, del regista Ambrogio Crespi, è stato prodotto da Indexway e Nessuno Tocchi Caino. Il progetto è nato grazie alla collaborazione con il Dipartimento di Polizia Penitenziaria di Opera e con Radio Radicale. Venerdì 18 novembre è stato proiettato nel carcere di Secondigliano di Napoli

Il docufilm che denuncia la disumanità dell’ergastolo ostativo arriva anche a Napoli, dopo essere stato al red carpet dei festival del cinema di Venezia e Roma. Stavolta ad ospitare la proiezione della pellicola girata da Ambrogio Crespi, è il carcere di Secondigliano. Il tour per le case circondariali, promosso dallo stesso regista con Nessuno Tocchi Caino e il Partito Radicale, arriva anche nel capoluogo partenopeo.

Sper contra spem è una frase pronunciata dall’apostolo Paolo di Tarsio, riportata in una sua Lettera ai Romani e che riprende una vicenda riguardante Abramo e la sua fede. Il non avere speranza ma essere speranza è l’interpretazione data da Marco Pannella che da sempre ha associato a questo concetto le vite dei detenuti condannati a non uscire mai più di prigione. Una pena di morte mascherata palesemente in contrasto con ciò che afferma l’articolo 27 della nostra Costituzione: “La responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte“.

Il docufilm racconta le vicende di alcuni detenuti reclusi presso il carcere di massima sicurezza di Opera a Milano. I protagonisti sono in galera da almeno 15 – 20 anni, di cui diversi passati in isolamento (23 ore su 24 da trascorrere in cella) e molti di essi non usciranno più perché condannati all’ergastolo ostativo.

Le loro storie sono tristi, delle vere e proprie tragedie narrate con forza, spontaneità e grande emotività. Volti segnati da un passato burrascoso ma da un presente apparentemente sereno. Il carcere come espiazione che ha permesso un lavoro introspettivo enorme. Lo scopo raggiunto di far conoscere a queste persone se stessi, cercando di comprendere il proprio trascorso rispetto alla situazione attuale di detenzione.

Il carcere non esce mortificato da Spes contra Spem, anzi diventa necessario nel momento in cui è chiaro che se “Non capisci agisci” o se ti rendi contro che “L’autocoscienza è il tuo tribunale più severo“. Comprendere che “La vita è diversa dall’esistenza. Sono concetti che non sono uguali. La vita è una e bisogna, appunto, approfittarne e viverla“. Vite ed esistenze distrutte ma che attraverso il dialogo introspettivo e il confronto con gli altri, provano a ricucire se stesse ed a dare un senso agli anni che restano.

Qui entra in gioco il concetto di sopravvivenza e dell’essere speranza, “Io sono contento di essere qui, se non fossi in galera magari mio figlio sarebbe morto o in carcere anche lui“, oppure, “Quando uno dei miei figli è entrato in cella mentre l’altro, l’unica brava persona della famiglia, è morto per un incidente stradale, ho capito che dovevo dare alla mia vita una direzione diversa“. I detenuti che si confessano esprimono tutto il loro senso di responsabilità per quello che hanno commesso ma non rinnegano la denuncia della barbarie rappresentato dall’ergastolo ostativo: “Che speranza si può avere nell’andare fuori di qui? Non è possibile, quindi o ti uccidi o vai avanti per inerzia. Sopravvivi solo per dare speranza alla tua famiglia, ai tuoi figli, a tua moglie, a tua madre. A rendere più sopportabile le loro umiliazioni“. Ci sono però anche coloro che possono usufruire di permessi premio e che vengono sfruttati per il sociale, “Io amo andare nelle scuole per portare la mia esperienza. Istituti in quartieri a rischio come il mio. Se solo riuscirò a salvare almeno uno di quei ragazzi dalla strada presa da me in passato, vuol dire che la mia vita ha avuto un senso. Questa è la mia speranza“.

Alle voci dei detenuti si associano quelle degli ufficiali e del personale della Polizia Penitenziaria che dimostrano come “Il carcere sia un’unica comunità che coinvolge, non solo i detenuti, ma anche le guardie, gli ispettori, i cappellani e tutti coloro che lavorano e vivono in questa realtà”, afferma Sergio D’Elia segretario dell’associazione Nessuno Tocchi Caino. Il grido è “Dare una possibilità a chi è cambiato dopo anni di detenzione e può dimostrare che nessuno nasce buono o cattivo in assoluto ma che spesso le condizioni della vita ci costringono a deviare. Non è una giustificazione per ciò che si commette ma lo Stato ha il dovere di dare un’altra chance alle vite di queste persone“.

Su tutte risuona come un fulmine la dichiarazione di Santi Consolo, presidente del DAP (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) ed ex magistrato e giudice della Corte d’Assise: “La Corte Costituzionale si è assopita sul tema. È necessario che urli la sua voce e dichiari incostituzionale l’ergastolo ostativo“.

L’introduzione al docufilm del direttore del carcere Liberato Guerriero e gli interventi del filosofo Aldo Masullo, del capo di gabinetto del Ministro della Giustizia Giovanni Melillo e di Rita Bernardini della Presidenza del Partito Radicale, insieme al regista Ambrogio Crespi. Intervengono anche due detenuti della casa circondariale di Secondigliano. Presenta l’evento Sergio D’Elia, segretario di Nessuno Tocchi Caino

La proiezione della pellicola è stata eseguita nella palestra del carcere sotto la supervisione delle guardie penitenziarie che hanno svolto un lavoro davvero impeccabile. Di particolare rilievo l’intervento del filosofo Aldo Masullo: “È evidente, guardando i volti dei detenuti protagonisti del docufilm, il senso del tempo come grande scultore e quindi come simbolo di vita passata. Una serenità apparente che traspare dai visi dei detenuti ma che nasconde la tempesta interiore. Trovo molto significativo anche i contributi degli ufficiali della Polizia Penitenziaria. Il messaggio è chiaro: siamo nella stessa barca, ci unisce la quotidianità della vita in carcere ma ci divide un confine invisibile: quello della limitazione della libertà. Queste persone attraverso la solitudine acquisiscono il coraggio di dirsi le cose. I detenuti si avviano in questo modo alla salvezza di se stessi tramite la conquista della dignità. Nelle carceri non bisogna educare, non si deve essere padri ma fratelli. È necessario provocare delle reazioni che facciano scattare una volontà di ricerca che porti poi all’agire. È l’azione che rende persone gli individui. Questo può avvenire grazie alla funzione del lavoro in carcere. Infine, la spes è il proposito di cambiare ma agendo su se stessi affinché questo cambiamento arrivi. La speranza di vedere verificato un fatto, non la si ottiene con la sola probabilità che esso possa accadere. Credo sia importante che si costruisca una rete delle carceri nel paese e i detenuti, con la partecipazione in massa allo sciopero della fame in occasione della marcia per Marco Pannella e Papa Francesco, in favore dell’amnistia, avete dato un grande esempio in questo senso e soprattutto nel vedere riconosciuta la vostra valenza nell’acquisizione e messa in pratica di diritti civili altrimenti negati. Quindi liberate voi stessi per liberare gli altri“.

È intervenuto in seguito il capo di gabinetto del Ministro della Giustizia Giovanni Melillo: “Noi come istituzioni riteniamo che un film del genere vada promosso e proiettato soprattutto nelle scuole. Stiamo facendo molto per quanto riguardo la giustizia in Italia e i diritti dei detenuti. Gli Stati Generali dell’Esecuzione della Pena, sono un grande esempio di volontà politica di cambiare direzione rispetto al passato. So bene che la pena va, come afferma la Costituzione, umanizzata e per questo sono pronti 40 milioni da stanziare ogni anno come retribuzione per i detenuti impegnati in attività lavorative all’interno delle carceri“.

Ha dichiarato Rita Bernardini, componente della Presidenza del Partito Radicale, “Già il Papa ha abolito l’ergastolo nello Stato Vaticano. Come lui anche Barack Obama ha detto – se è accaduto a voi perché non a me – Noi come Partito Radicale possiamo solo dirvi che non molliamo, quindi anche voi non mollate e continueremo questa nostra battaglia così come ha fatto Marco Pannella, fino all’ultimo suo respiro. Abbiamo pronti dei libri con i contributi dei 18mila detenuti che hanno fatto con noi lo sciopero della fame. Li stamperemo e li regaleremo a Papa Francesco, al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e al Ministro Andrea Orlando“.

A quel punto i detenuti si alzano in piedi e rompono il silenzio con un fragoroso applauso. Sarà stato un minuto che è sembrato infinito, a quel punto è tornato in mente un messaggio che Marco Pannella ha dedicato a Papa Francesco e messo per iscritto nella lettera inviata al Pontefice prima di andare in cielo: “Caro Papa Francesco, ti scrivo dalla mia stanza all’ultimo piano – vicino al cielo – per dirti che in realtà ti stavo vicino a Lesbo quando abbracciavi la carne martoriata di quelle donne, di quei bambini, e di quegli uomini che nessuno vuole accogliere in Europa. Questo è il Vangelo che io amo e che voglio continuare a vivere accanto agli ultimi, quelli che tutti scartano. Questa passione è il vento dello “Spirito” che muove il mondo. Lo vedo dalla mia piccola finestra con le piante impazzite che si muovono a questo vento e i gabbiani che lo accompagnano. In questo tempo non posso più uscire, ma ti sto accanto in tutte le uscite che fai tu. Un pensiero fisso mi accompagna ancora oggi: «Spes contra Spem”. Caro Papa Francesco, sono più avanti di te con gli anni, ma credo che anche tu ti trovi a dover vivere “spes contra spem”. Ti voglio bene davvero“.

Queste parole aprono il docufilm e rendono omaggio all’uomo che più di tutti ha vissuto incarnando il significato di Spes contra Spem.

Fonte: Andrea Aversa – Voce di Napoli

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